Andrea Carpenzano, tutto su il “Campione”
Al cinema è un goleador, un bomber del calcio. Nella vita, Carpenzano invece non ama i riflettori e adora il silenzio.
Incontrandolo al bar, in un’atmosfera pacata e informale, notiamo subito il suo stile originale ma che non si sforza per esserlo. Ci risponde per la terza volta con “boh, non lo so”, con un accentuato accento romano cadenzato e un occhio sguincio, e non possiamo fare a meno di pensare che abbia fumato qualcosa di speciale e di rilassante. La sua risposta è un secco NO, piuttosto il suo vizio è il buon vino, di cui si ritiene un vero intenditore. Ma era troppo presto per bere, quindi si è accontentato di un centrifugato di carota e mela, giusto per iniziare a sciogliere le barriere e schiarirsi la gola.
Si perché pur essendo ormai quasi una star nazionale riconosciuta, non sembra averne il piglio e l’attitudine, con il suo modo di fare a metà tra genuino borgataro e personaggio dei romanzi di De Cataldo: il ragazzo inizia a spogliarsi solo dopo un po’ di tempo della sua patina superficiale, e si dimostra per quello che è, finalmente. Il giovane attore ha solo 23 anni ed è figlio di un professore che insegna Architettura, sua madre invece è un Architetto a metà, avendo interrotto gli studi. Sembra essere un ragazzo molto alla mano, con qualche perdonabile inclinazione al turpiloquio e una marcata tendenza all’autoironia (saranno almeno otto le volte in cui ha ripetuto la frase “mi rivedo sullo schermo e mi faccio cagare”).
Per quanto egli sia abbastanza autonomo e indipendente, anche grazie alla carriera in rampa di lancio, non si vergogna di confessarci che dorme ancora con il padre, essendo molto legato alla sua figura e in generale al ruolo importante della famiglia nella sua vita. Questo suo essere semplice e se vogliamo tradizionale, trapelano subito e si trasformano nell’umiltà che traspare dal suo sincero modo di fare, così abituato ad essere umile da non volere per se il titolo di attore. Questo malgrado in questi giorni sia girando sul set di un film prestigioso, che ha nel cast addirittura l’attore Clive Owen. Ma soprattutto, nonostante il 18 di questo mese sia prevista in tutte le sale d’Italia, la proiezione de “Il Campione”, primo lavoro del regista Leonardo D’Agostini, che vede il giovane Carpenzano affiancato da un attore navigato e amatissimo come Stefano Accorsi.
La trama parla di un giovane attaccante della Roma, Christian Ferro, interpretato appunto da Carpenzano, nel ruolo di un calciatore ventenne di grande talento, ma ammaliato dal successo che lo rende facile preda di vizio e bravate. Per cercare di addomesticarlo ed educarlo, mettendolo finalmente in riga, le sue cure saranno affidate al buon Stefano Accorsi, nel ruolo di Valerio, che lo farà studiare e cambiare definitivamente vita.
Nell’interpretazione del calciatore, si è ispirato a qualcuno in particolare?
«Balotelli, Cassano, Totti».
Come se la cava invece, a giocare a pallone o calcetto nella vita reale?
«Sono una pippa. Da bambino mi sarebbe piaciuto, ma mia madre mi ha iscritto a scherma: pensava che il calcio mi avrebbe reso un coglione».
Non aver giocato a pallone, ha contribuito all’intento di sua madre?
«Non lo so. Ora mi sono calmato, ma al liceo ho attraversato una bella fase da pazzo».
Del tipo?
«Non tornavo a casa per giorni, nessuno sapeva dove fossi. A scuola avevo dichiarato che non mi sarei mai presentato il venerdì: avevo bisogno del weekend lungo».
A scuola te la cavavi comunque?
«Bocciato due volte, poi però la maturità l’ho presa».
Magari per merito di un insegnate giusto, alla Valerio?
«Il mio preferito era il prof di filosofia: andavamo a bere insieme. Uno come Valerio, però, non l’ho mai incontrato».
Da Accorsi invece, il Valerio vero, è riuscito ad imparare qualcosa?
«La disciplina: lui è molto rigoroso, un vero professionista».
Lei invece non sente di esserlo?
«Io? Manco mi definisco “attore”».
E allora quando le chiedono che mestiere fa, cosa risponde?
«Faccio qualcosa nel cinema».
Recitare era uno dei suoi sogni ricorrenti di bambino?
«Mai avuti sogni né ambizioni. Nemmeno i miei amici hanno tutta’sta voglia di sfondare. Siamo figli della generazione di determinati che ha ricostruito l’Italia nel dopoguerra. Noi siamo più insicuri, più tranquilli, meno presuntuosi. Abbiamo bisogno di protezione».
E Dove la cerca?
«Dentro di me. Cammino 20 chilometri al giorno: mi piace la mia silenziosa compagnia».
Quali sono le altre compagnie che gradisce?
«Quella di mia sorella, Livia, che ha 30 anni e fa l’illustratrice. Con lei ci capiamo e ci compatiamo. Quando le dico “ho visto il trailer del Campione, faccio proprio cagare”, lei mi risponde “eh sì”».
Davvero un dialogo brillante!
«Non c’è sempre bisogno di parlare. A volte tacendo ci si capisce di più».
Ci rivela perché odia così tanto rivedersi in video?
«Mi fanno schifo le faccette che faccio per mostrare cosa prova il personaggio».
Almeno i genitori, invece, sono felici e la elogiano?
«Mio padre piange perché pensa sia necessario piangere. Mia madre vede il film e sta zitta. Se le chiedo “ma’, com’era?”, risponde “bello”. Fine. Meglio così: se mi ripetessero sempre “quanto sei eccezionale, quanto sei bravo”, allora sì che diventerei un vero deficiente».
Pubblicato martedì 23/04/2019
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