Calcutta – L’ultimo esemplare di cantautore italiano
In questi tempi di musica trap e icone pop che fanno tendenza, di idoli musicali a metà tra fashion blogger e delinquenza, fa quasi scalpore quando la semplicità viene fuori da un artista che si esprime senza ostentare le proprie ricchezze o i propri tormenti.
A questo proposito parliamo delle canzoni di qualcuno che non ha bisogno di ricorrere a questi stereotipi, di un cantante a cui non occorre vendersi per quello che non è, cercando l’originalità all’interno delle piccolezze quotidiane che ci rendono umani e fragili, cantando testi che fanno proprio della normalità una dote, esaltando il coraggio di mettere a nudo sensibilità e sentimenti usando immagini suggestive in cui rispecchiarsi e giocando sulle parole.
Tutti ormai conoscono Calcutta, una piacevole sorpresa che ha fatto irruzione sulla scena indie pop con la violenza dolce e quasi adolescenziale dei suoi testi, particolarmente ispirati per sua stessa ammissione da vari cantautori italiani, come Dalla, Battisti e Luca Carboni, e le sue influenze sudamericane, in particolare derivanti dal tropicalismo, un movimento più culturale che musicale, che ha il suo massimo esponente nel brasiliano Caetano Veloso.
Venuto alla ribalta con la canzone del 2015, Cosa mi manchi a fare, è giunto alla maturazione con le pubblicazioni avvenute nel 2018, Pesto e Paracetamolo, cliccatissime su spotify e youtube, Edoardo D’Erme in arte Calcutta è divenuto forse il maggiore e più seguito rappresentante della scena indie pop italiana, per la sua innata capacità di narrare il senso di confusione della sua e delle nuove generazioni in genere.
La cosa bella e allo stesso tempo paradossale, è che nei suoi testi ci si ritrova, anche senza capirli a pieno, anche senza riscontrare un vero filo logico nelle parole: ad esempio, a dover analizzare a livello concettuale o anche solo grammaticale le frasi delle canzoni, che ne dite di “Pesaro è una donna intelligente” o “Io ti giuro che torno a casa e non so di chi” oppure “mi ero addormentato di te” (e tanti altri)?
Questo non ci deve però fuorviare o trarre in inganno, i suoi testi vanno di pari passo con la sua voce e le basi delle canzoni, rendendolo il degno erede dei cantautori del passato a cui è grato e si ispira, riflettendo però tutte le paure e le contraddizioni di un giovane nato nel 1989, figlio anche lui inevitabilmente del tempo che vive.
La riflessione è d’obbligo: anche se non si capiscono del tutto i testi, e non si coglie in maniera profonda quello che l’artista vuole comunicare, ognuno ne interpreta le parole canticchiandone il motivetto con leggerezza: smettiamola di cercare per forza un significato diretto, cantare delle canzoni è anche un modo per sfogarsi e per gridare, come proprio l’artista di latina sembra fare.
D’altronde, per azzittire le critiche dei più scettici sul suo successo, basta dire che senza dubbio la potenza comunicativa delle sue canzoni è palese, oltre gli schemi, oltre il nosense, oltre la definizione di cantautore e cantante. La licenza poetica, l’arte di esprimersi con neologismi, il fascino derivante dalle proprie insicurezze: Calcutta rappresenta a pieno il dissidio e i tormenti delle nuove generazioni, assumendo a pieno titolo il ruolo di Cantautore 2.0, artista italiano del presente e del futuro.
Pubblicato venerdì 07/09/2018 in calcutta, indie, paracetamolo
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