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Il Mondo di Patty, il libro: leggi il primo capitolo

Il Mondo di Patty non è solo televisione e cd. Ora è anche un libro! Edito da Sperling e Kupfer è uscito in libreria “Il Mondo di Patty – La storia più bella”, libro che racconta le avventure di Patty e del suo mondo.

In esclusiva per www.10elol.it il primo capitolo del libro. Ogni giorno ne verrà pubblicato un nuovo pezzo: torna a visitare questa pagina per avere nuove gustose anticipazioni, o corri in libreria a chiedere la tua copia del libro-cult di questa stagione!

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TUTTO è cominciato quando il medico ha detto che avevo
un problema ai reni e che dovevo andare a farmi curare
a Buenos Aires, in una clinica pediatrica diretta da un
dottore bravissimo.

La mattina della partenza avevo il mio cagnolino in
braccio ed ero in piedi davanti alla porta quando è arrivata
la mamma che mi ha detto: «Non ci pensare neanche,
sono troppe ore di treno, non possiamo portarlo con noi».

«No, dai, mamma…» ho provato a supplicarla. «Ti prego!
Ti prego! Ti prego!»

«È inutile che mi preghi. Ti ho detto che non possiamo.»

Non pensiate che mia mamma sia cattiva, è solo che si
preoccupa sempre un po’ troppo per me. Credo sia perché
per lei è stato difficile crescermi da sola, senza un papà, e
io, devo ammetterlo, ho un po’ la tendenza a cacciarmi
nei guai.

Avrei tanto voluto obbedirle, e lasciare Matías a casa,
ma proprio non potevo. Per questo, appena la mamma è
salita a prendere le valigie, l’ho infilato in una borsa e gli
ho sussurrato: «Mati, ascolta: promettimi solennemente
che non ti muoverai da questa borsa, perché se mamma si
accorge di te mi uccide. Sono guai, capito?»

– seconda parte –

Avevo appena finito di nasconderlo quando ho sentito
suonare il clacson. La mamma è scesa di corsa, siamo uscite
e siamo salite sul vecchio pick-up arrugginito del signor
Luís, che si era offerto di accompagnarci alla stazione.

Le persone sono molto gentili, nelle piccole città. A
Buenos Aires sarebbe stato lo stesso? Avevo paura di no.

L’Argentina è un Paese molto grande, e da Bariloche
per arrivare nella capitale abbiamo dovuto viaggiare tutta
la notte. Io sono rimasta sveglia nella mia cuccetta, ad
aspettare che la mamma si addormentasse: dovevo dare
da bere e da mangiare a Mati e tirarlo fuori dalla borsa.
Poverino.

Appena ho visto che la mamma dormiva, sono corsa
in bagno e mi sono chiusa dentro. Ho tirato fuori dalla tasca
un bel pezzo di panino, che Mati ha divorato in un
boccone.

Quando siamo arrivate alla stazione di Buenos Aires e
siamo scese dal treno ero così emozionata che quasi svenivo.

Non avevo mai sentito così tanto rumore in vita mia:
migliaia di persone che camminavano velocissime, c’erano
macchine, autobus, palazzi altissimi e strade larghe come
fiumi.

Il taxi ci ha lasciate davanti alla clinica, dove siamo
entrate e ci siamo sedute ad aspettare che ci chiamassero
per vedere le analisi. Io ero un po’ agitata, non tanto per
gli esami – la mamma mi aveva assicurato che sarebbe andato
tutto bene, e io di lei mi fido – ma per Matías, che
non ero ancora riuscita a far uscire dalla borsa. Finalmente
è arrivata un’infermiera. «Castro», ha chiamato.

La mamma è saltata in piedi come una molla. «Sì. Andiamo,
Patty.»

«Il dottore vorrebbe parlare solo con lei», ha precisato
l’infermiera.

La mamma allora si è girata verso di me e, un po’ titubante,
si è raccomandata: «Tu resta qui, Patty, mentre io
parlo con il dottore».

Avevo un pochino paura, a rimanere da sola in quel
posto che non conoscevo, ma almeno avrei potuto liberare
Matías.

«Va bene, mamma.»

– terza parte –

Ma lei non era ancora tranquilla. Si è chinata verso di
me e ha aggiunto: «Rimani qui, non muoverti e non combinare
guai. Te lo chiedo per favore». Poi se ne è andata
con l’infermiera.

Appena è sparita dietro l’angolo del corridoio, ho
aperto la borsa e ho tirato fuori il mio cagnolino. Non
l’avessi mai fatto! Quello ne ha approfittato subito per
scappare e mettersi a correre come un matto. Io sono saltata
in piedi e gli sono corsa dietro. C’era un mucchio di
gente e io, per non perdere di vista Matías, dovevo spingere
tutti e comportarmi come una maleducata. «Scusi,
scusi tanto», gridavo. Credo di aver fatto cadere qualcuno,
e anche di aver rovesciato un paio di carrelli con delle
siringhe e non so cos’altro.

In fondo all’atrio Matías ha trovato la porta, è sgattaiolato
sotto le gambe di una signora e si è precipitato fuori,
giù dalle scale e in strada. E io sempre dietro. Ero terrorizzata.
«Matías! Matías!» chiamavo.

Oddio, ero sicura che si sarebbe fatto investire.

Un autobus lo ha schivato per un pelo e quasi è venuto
addosso a me, ma in quel momento è arrivata una macchina
a tutta velocità, io sono saltata sul marciapiede e
mi sono messa le mani davanti agli occhi per non vedere.

In quel momento ho sentito un terribile rumore di freni,
ho lanciato un urlo e sono scoppiata a piangere.

Dopo qualche secondo, la voce di un uomo mi ha
chiesto: «È tuo il cagnolino?»

Non osavo togliermi le mani dagli occhi. «Cosa gli è
successo? È morto?» ho singhiozzato.

«No, tranquilla, è tutto a posto. Sta bene.»

Non riuscivo a crederci, e neanche a smettere di piangere.
«Davvero?»

«Sì, davvero. Guardalo», mi ha risposto l’uomo. Aveva
una voce molto dolce, gentile.

Lentamente ho abbassato le mani e ho visto questo signore
con il mio bassottino in braccio. Era vero: stava bene.

continua…

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